Sermonti, Dante e un rumoraccio
Se il Dantedì deve avvicinare gli italiani al Sommo Poeta, non credo che possa esistere un metodo più efficace del racconto-commento della Commedia scritto da Vittorio Sermonti.
Sono un ammiratore di Vittorio Sermonti dal primo momento in cui mi sono imbattuto nei suoi libri. Oggi, nel giorno dedicato a Dante, vi esorto a leggere quelli su Inferno, Purgatorio e Paradiso. Sermonti riesce in un vero miracolo: uno si mette a leggere il suo racconto-commento di un canto di Dante, si appassiona, si diverte, impara un sacco di cose, dopodiché passa a leggere le terzine di Dante e capisce tutto, senza aver bisogno di una sola nota. I miei figli ancora mi ringraziano: i tre libri di Sermonti li hanno accompagnati per il liceo, esentandoli dalla necessità di farsi largo nella giungla delle note a piè di pagina.
Il brevissimo brano che propongo per celebrare il Dantedì proviene dal mio libro È più facile scrivere bene che scrivere male. Alla fine del capitolo intitolato Eleganza, dopo aver presentato svariati modelli di scrittura raffinata, chiedo: «Ci sono argomenti di cui non si può parlare o scrivere con eleganza?». Per rispondere, propongo una lettura tratta da L’Inferno di Dante di Sermonti, ricordando uno dei tanti aforismi attribuiti a Oscar Wilde: «Un gentiluomo è una persona che fa cose che nessun gentiluomo farebbe mai come solo un gentiluomo sa farle».
LA LETTURA
Sermonti, Dante e un rumoraccio
Vittorio Sermonti (Roma, 1929-2016) è stato attore, regista, insegnante, narratore. E soprattutto l’autore di un’opera straordinaria: il racconto-commento della Commedia di Dante, nato in origine per la radio, poi divenuto libro e portato in giro per l’Italia in una serie di letture pubbliche. Leggete l’inizio del capitolo relativo al canto XXII dell’Inferno (e rispondete, aiutandovi con quello che si dice nel testo, a un quiz facile facile: cosa aveva fatto il diavolo Barbariccia al verso centotrentanovesimo e ultimo del canto XXI?).
Barbariccia non si comporta certo da signore facendo quel rumoraccio, ma qui chi insiste – siamo giusti – è Dante. E ad apertura di canto ci prende anche in giro con una sontuosa e minuziosa descrizione di manovre militari, che poeta e pellegrino ricavano dal repertorio dei loro trascorsi comuni nella cavalleria della Repubblica fiorentina […].
Dunque: «Ho visto a suo tempo – dice in sostanza Dante Alighieri –, non che io non abbia mai visto soldati a cavallo levare il campo e mettersi in marcia, o passare all’attacco […] e tutto corredato ora dal suono di trombe, di campane o di tamburi, ora dalla segnaletica a fuoco da fortezza a fortezza (cenni di castella), con metodi e strumenti delle parti nostre, ma anche con roba d’importazione (e con cose nostrali e con istrane)… Onestamente, però, non ho mai visto né cavalieri né fanterie, e tanto meno navi orientate su segnalazioni costiere o sulla posizione delle stelle (a segno di terra o di stella), mettersi in moto al segnale di così stravagante cennamella» (fra parentesi, la cennamella, o ciaramella, è un rudimentale strumento della famiglia delle cornamuse, che a fine Duecento integrò con altri fiati, come tromba o zufolo, l’organico delle bande militari, limitato in precedenza alle percussioni).
Dunque, chiuso il XXI canto con il malfamato endecasillabo del «cul» e della «trombetta», Dante attacca il XXII sul marziale sostenuto, cambiando radicalmente registro; ci illude di aver cambiato anche argomento; poi, di colpo, con uno scarto brusco e inopinato torna sul peto che aveva siglato il canto scorso, obbligandoci, oltre tutto, ad immaginare tecnicamente il buco del sedere di un diavolo come uno strumento a fiato (francese ‘instrument à vent’).
(VITTORIO SERMONTI, L’Inferno di Dante, Rizzoli 2001)
A questo punto, per il vostro godimento, vi riporto le quattro terzine di Dante che Sermonti commenta in questa pagina:
Io vidi già cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo;
corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane,
fedir torneamenti e correr giostra;
quando con trombe, e quando con campane,
con tamburi e con cenni di castella,
e con cose nostrali e con istrane;
né già con sì diversa cennamella
cavalier vidi muover né pedoni,
né nave a segno di terra o di stella.
(DANTE, Inferno, XXII, 1-12)
Questo brano proviene dal mio libro È più facile scrivere bene che scrivere male, Ponte alle Grazie 2011, pp. 151-152.
Il grande progetto dantesco di Vittorio Sermonti è nato come lettura integrale della Commedia per Radio3. Poi sono arrivati (fra 1988 e 1993) i tre libri pubblicati da Rizzoli con la supervisione di Gianfranco Contini (L’Inferno di Dante e Il Purgatorio di Dante) e di Cesare Segre (Il Paradiso di Dante), con lo scopo di «consentire a un qualunque italiano dotato di cultura media, intelligenza e un po’ di passione di percorrere il più gran libro scritto in italiano senza interrompere continuamente l’avventura per approvvigionarsi di notizie, delucidazioni e varianti nei battiscopa di note, che spesso rasentano il soffitto della pagina». Dopo l’edizione rivista e aggiornata del 2001, oggi i tre volumi sono disponibili nella BUR.
Marinella Sellitto
Ho incontrato per radio la lettura e il commento dell'”Inferno”di Sermonti ed ho capito finalmente come insegnare ai miei alunni ad amare Dante: accadeva molti anni fa e fu.successo! Ne fui felice e ringrazio ancora Rai 3
Massimo Birattari
È davvero una delle opere di (alta) divulgazione più riuscite in assoluto. Valida non solo per il fine (far capire Dante) ma anche come opera a sé, che trasuda intelligenza, calore, vera felicità.