Schernirsi per schermirsi
Questo strafalcione rientra nella categoria “parole difficili orecchiate male”, e a cascarci sono spesso giornalisti o scrittori. Andate avanti se volete saperne di più.
Una persona può trascorrere onestamente un’intera vita senza dover mai impiegare il verbo schermirsi. Ma se per qualche motivo vi pungesse la voglia di usarlo, cercate di prestare attenzione. Leggete questo brano tratto dal mio libro Italiano. Corso di sopravvivenza:
Immaginate uno scambio di battute come il seguente, tra un giornalista vagamente adulatore e un personaggio famoso (politico, attore, campione sportivo). Il giornalista fa una domanda-affermazione-complimento come “E poi si dice che lei è un cuoco straordinario…”, e il personaggio, ostentando modestia, si affretta a rispondere “Ma no, non straordinario; mi diverto ogni tanto a preparare qualcosa per gli amici”. Il verbo da usare per definire la risposta è schermirsi, che deriva da una voce longobarda che voleva dire “proteggere”; e infatti schermirsi significa “farsi schermo”, in senso proprio (schermirsi gli occhi con la mano) o figurato (proteggersi, ritrarsi per evitare qualcosa che mette a disagio). Così, alla risposta citata si può aggiungere una didascalia:
“Ma no,” si schermisce, “non straordinario…”
Ora, sette volte su dieci nei giornali quello schermirsi diventa un assurdo schernirsi:
“Ma no,” si *schernisce, “non straordinario…”
Il verbo schermirsi, non molto comune, viene semplicemente orecchiato, e sostituito da schernirsi (probabilmente l’idea di chi lo usa è che con quell’atteggiamento una persona si umilia, si prende in giro, si schernisce, appunto). È un’improprietà grossolana, e spero che il suo uso sempre più frequente non induca qualche dizionario prossimo venturo ad ammettere questa accezione di schernire.
Aggiungo qui che mi è capitato più volte di vedere (e correggere) quegli schernirsi per schermirsi in dattiloscritti di celebri autori.
Rosanna Moroni
Oh, finalmente!
Le sono grata per aver fatto questa precisazione. Ho appena sentito la conduttrice de L’aria che tira dire di Salvini che si è, appunto, schernito!!! Semmai il personaggio è persona che schernisce gli altri, senza pudore alcuno! Nello specifico caso si è invece furbescamente (e ipocritamente) schermito, vistosamente gongolando, quando qualcuno lo definiva “grande stratega”… Mi pare che l’esempio sia calzante. Mi pare, in effetti, uno dei tanti errori che quotidianamente giornalisti noti fanno, errori che trovo molto irritanti perché penso che chi fa il giornalista dovrebbe curarsi di esprimersi in un italiano corretto. Temo invece che, come spesso accaduto, il cosiddetto uso comune divenga legge ed entri di diritto nei vocabolari…
Continui così, la prego! Buon lavoro!
Rosanna (una nonna molto preoccupata x il futuro, non solo lessicale, dei propri nipoti)
Massimo Birattari
È in effetti un errore da professionisti della scrittura o della parola (schermirsi non si usa nella conversazione comune), e proprio per questo è molto fastidioso (oltre che catastrofico per chi lo commette, che si rivela subito per semicolto, e non è un complimento). Grazie per l’apprezzamento: lo considero uno stimolo a scrivere di più sul blog, un po’ abbandonato a sé stesso (preferisco accentare sempre il sé…). Anch’io sono preoccupato del futuro, e le preoccupazioni linguistiche non sono le più preoccupanti.
Donatella Scotti
Grazie!
E grazie a Rosanna Moroni che condivide le mie preoccupazioni di nonna. Tutte.
Almeno per l’Italiano difendiamo il forte!
Giorgio Gramolini
Non mi stupisco di questo errore (scherNirsi in luogo di scherMirsi), da intendersi forse come un’etimologia popolare o una lectio facilior, laddove la derivazione da scherNo è apparentemente più ovvia che non quella da scherMo; e ancor meno mi stupisco che a caderci siano dei giornalisti, i quali ai nostri giorni svolgono nei confronti della lingua una funzione tutt’altro che normativa, ma tutt’al più di semplice cassa di risonanza del linguaggio parlato se non addirittura corruttrice. Non molti anni fa sentii durante una conferenza, oltre tutto davanti a una platea di studenti, il direttore di un grande giornale utilizzare ripetutamente il pronome indiretto GLI, in luogo di LE (al femminile!), in frasi ad esempio del tipo “E’ una grande scrittrice; GLI dobbiamo riconoscere notevoli doti stilistiche…”). Siamo nel campo degli orrori, più che degli errori, ma nessuno grida allo scandalo.
Massimo Birattari
Chiedo perdono: vedo solo ora questo commento. Sì, si tratta di orrori. Io, che fondamentalmente sono un ottimista, credo nella funzione terapeutica della correzione e continuo a sperare che chi commette un (semplice) errore di questo tipo arrivi a non sbagliare più dopo aver visto correzione e spiegazione.
stefano d'almo
Spessissimo si sente dire, riferendosi a una donna, “il sarto gli ha fatto male una gonna, camicetta ecc.” oppure, parlando di un uomo, “le ha comprato una maglia nuova”: errori pronominali frequentissimi in alcune regioni, Piemonte in testa. Mi stride qualcosa nelle orecchie, un fastidio quasi fisico, quando sento la non concordanza di genere quando sento dire “il tale mi ha aggredito”, oppure, “mi hanno condotto…” ecc. Stridore a parte, non sarebbe declinare la coniugazione dei verbi al femminile in questi casi?
Massimo Birattari
La confusione tra gli e le va oggi considerata un errore in italiano, nonostante anche Manzoni, nei Promessi sposi, abbia usato gli per riferirsi a una donna. (Come ho scritto più volte anche in questo blog, io invece non considero errore l’uso di gli per loro.) Sulla concordanza del participio con il pronome atono complemento oggetto: tutte le grammatiche spiegano che è assolutamente obbligatoria con i pronomi di terza persona, singolare e plurale: l’ho visto, l’ho vista, li ho visti, le ho viste; mentre con i pronomi di prima e seconda persona, singolare e plurale, è facoltativa: si può dire “vi ho visto” o “vi ho visti”, una donna può dire “mi ha aggredita” o “mi ha aggredito”. Tenga conto che è un uso un po’ “anomalo”, visto che in italiano il verbo si accorda di norma con il soggetto, e concordanze “alla francese” con l’oggetto come “la macchina che ho comprata” sono ormai in disuso.
Stefano De Lellis
Salve.
Mi chiamo Stefano.
Vorrei far notare un altro errore molto “in voga” tra i giornalisti.
Spesso sentiamo dire che: “L’assassino è stato arrestato e condotto in carcere, dove è guardato a vista…”.
In realtà, a meno che oltre alla vista anche un altro degli altri quattro sensi consenta di vedere, il modo corretto di dire è: “… dove è controllato a vista…”, che significa che non viene mai perso di vista.
Vi saluto.
Massimo Birattari
Verissimo (è talmente diffuso che uno nemmeno ci bada, ma ha ragione lei, “guardato a vista” non ha senso).
Daniela Villa
Condivido perfettamente! C’è anche un altro errore molto comune,, commesso praticamente da TUTTI: il verbo “appropriarsi” regge l’accusativo. Pertanto non è corretto dire “appropriarsi DI qualcosa” bensì “appropriarsi qualcosa”. ‘Appropriarsi qualcosa’ significa infatti ‘rendere proprio qualcosa’. Lo strafalcione è ormai talmente diffuso che ho del tutto perso la speranza di vederlo scritto in modo corretto. Ma chi fosse nel dubbio, può sempre sostituire il verbo riflessivo “appropriarsi” con il verbo riflessivo “impadronirsi”, che non regge l’accusativo; per esempio: “Impadronirsi del terreno vicino”. Lo stesso vale per l’espressione latina “una tantum”, cui la maggior parte degli Italiani attribuisce un erroneo significato. “Una tantum” significa ‘una volta soltanto’, e non “una volta ogni tanto”! E l’errore è talmente diffuso che io, per evitare di essere fraintesa, sono costretta a non usare più l’espressione latina. E questo è lo specchio dei tempi, ahimè!
Massimo Birattari
Lei ha ragione sul fatto che “appropriarsi” regge il complemento oggetto. È anche vero però che i vocabolari hanno preso atto dell’uso, e ammettono anche “appropriarsi di”, quindi con lo stesso senso e la stessa costruzione di “impadronirsi”: i vocabolari si adeguano all’uso. Ha naturalmente ragione anche sull'”una tantum”, ma qui è un problema non tanto di conoscenza del latino o dell’italiano quanto di buchi nel bilancio dello Stato…
Alessandro
Schernirsi non vuol dire prendersi in giro, mentre schermirsi è fare il modesto?
Alessandro
Ma soprattutto… schernirsi esiste?
Massimo Birattari
Esiste “schernire” (prendere in giro, deridere), e in teoria uno potrebbe schernirsi (“Sono stato un babbeo, mi sono lasciato ingannare come l’ultimo dei citrulli”). In pratica, “schernirsi” esiste solo come strafalcione, cioè viene usato da chi dovrebbe impiegare il verbo “schermirsi”, che in effetti vuol dire “fare il modesto”.
Tommaso Rinaldi
“Spero che il suo uso sempre più frequente non induca qualche dizionario prossimo venturo ad ammettere questa accezione di schernire”.
Qui non mi trovo molto d’accordo. Quante parole del passato sono giunte a noi per sbagliata consuetudine nell’uso dei nostri antenati? Ma la lingua non è viva, nell’uso dei suoi parlanti? Certo se volessimo discutere della qualità dei parlanti odierni si potrebbe aprire una discussione infinita. Però Lei qui ha dato una variante psicologica molto interessante che potrebbe conferire dignità all’uso scorretto della parola: “Il verbo schermirsi, non molto comune, viene semplicemente orecchiato, e sostituito da schernirsi (probabilmente l’idea di chi lo usa è che con quell’atteggiamento una persona si umilia, si prende in giro, si schernisce, appunto)”. Una pianta ferita è un gran delitto, ma da essa può sgorgare nuova linfa
Massimo Birattari
Ha ragione sul valore assoluto dell’uso. Ma qui la situazione è leggermente diversa (per me): non si tratta di deformazione popolare, ma di goffaggine di – ehm – semicolti. Però certo, se schermirsi scomparirà e il suo posto verrà preso da schernirsi, i dizionari non potranno che prenderne atto.
Giorgio Ferraro
Grazie mille. Molto chiaro
domenico de iesu
grazie , finalmente qualcuno che rimette le parole al loro giusto posto !
Massimiliano Melley
Ho trovato per caso questa sezione sugli strafalcioni. Molto bella. Meno bello leggere, in più d’un post e commento, sottili ironie nei confronti della mia categoria professionale (i giornalisti). Tanto per chiarire: il giornalista non è, professionalmente, chiamato ad essere al pari d’un cultore della grammatica.
Probabilmente, in passato, quando l’alfabetizzazione e la scolarizzazione erano molto inferiori, i giornalisti avevano una indiretta funzione normativa della lingua (cit. Giorgio Gramolini), ma la professione giornalistica non è quella di “scrivere correttamente” (ai più giovani aspiranti dico sempre: è condizione semmai necessaria, ma non sufficiente e non qualificante).
Il giornalista è invece un professionista qualificato e competente nel raccogliere i fatti, distinguere quelli notiziabili e trasformarli in notizie eseguendo varie operazioni (tra cui la verifica dei fatti). Molti di noi (me incluso) non sono nemmeno laureati in Lettere, proprio perché il nostro lavoro è sostanzialmente un altro. Tuttavia ovviamente, scrivendo o parlando, il giornalista è chiamato ad avere la massima cura della lingua italiana: dunque accolgo le ironie e sono il primo ad arrabbiarmi (con me stesso e i colleghi) di fronte a strafalcioni, ma non chiedeteci di essere “normatori”: chiedetelo piuttosto agli autori delle grammatiche e dei dizionari!
Massimo Birattari
Diciamo che io vedo pubblicati gli strafalcioni dei giornalisti, mentre, dato il mio lavoro, cerco di impedire che vengano pubblicati quelli di chi scrive libri… Lo scopo di questo blog (peraltro molto poco attivo, accidentaccio) è solo quello di stimolare la consapevolezza linguistica; tanto più che, come si vede aprendo per esempio la grammatica di Serianni, gli usi giornalistici contribuiscono a fare la norma (che deriva sempre dall’uso). Grazie dell’attenzione!