Sarajevo, 28 giugno 1914
L’episodio che ha scatenato la Prima guerra mondiale in un capitolo del mio libro L’Italia in guerra (Feltrinelli Kids). Materiali per la scuola a distanza che potrebbero tornare utili anche per l’esame di terza media, in qualunque modo si farà.
Saliamo sulla macchina del tempo, indichiamo come destinazione la primavera dell’anno 1914, sorvoliamo l’immenso impero austroungarico e atterriamo in una tenuta in Boemia. Lì l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono del vecchio imperatore Francesco Giuseppe, suo zio, coltiva la passione della caccia: sostiene di aver abbattuto almeno 250.000 animali selvatici, e una volta aveva ordinato ai suoi guardiacaccia di radunare duecento cervi e li aveva uccisi tutti (nella foga aveva ucciso anche un guardiacaccia, ma per sbaglio). Disprezza gli ungheresi, chiama i serbi “quei maiali”, vorrebbe che l’impero si riprendesse Venezia e la Lombardia ma, rispetto alla maggior parte dei generali, degli aristocratici, dei politici austriaci, non vuole la guerra, men che meno contro la Russia. Una sua frase si dimostrerà profetica:
Non condurrò mai – dichiara l’erede al trono d’Austria, 50 anni nel 1914 – una guerra contro la Russia. Sono disposto a qualunque sacrificio pur di evitarla. Una guerra tra l’Austria e la Russia si concluderebbe o con la rovina dei Romanov o con la rovina degli Asburgo, e forse con la rovina di entrambi.
Gavrilo Princip è un serbo di Bosnia, è nato nel 1894, è piccolo, malaticcio, e nel 1912 avrebbe voluto arruolarsi nell’esercito serbo, ma era stato scartato per la costituzione debole e minuta. La Bosnia, dopo essere stata per secoli sotto il dominio dei turchi, è amministrata dall’Austria-Ungheria, che l’ha ufficialmente annessa nel 1908. Ma i membri dell’associazione segreta Giovane Bosnia, a cui appartiene Gavrilo, vorrebbero che la loro nazione si unisse al regno di Serbia. Per ottenere questo risultato, in nome del quale sono disposti a sacrificare la propria vita, credono che il metodo più efficace sia il terrorismo: il loro sogno sarebbe uccidere l’imperatore, o qualcuno il più vicino possibile a lui.
Quando, nella primavera del 1914, l’erede al trono Francesco Ferdinando annuncia che a fine giugno andrà in visita ufficiale a Sarajevo, capitale della Bosnia, Gavrilo e i suoi amici hanno tutto il tempo di preparargli l’accoglienza.
Così, a maggio arrivano a Belgrado, capitale della Serbia, e si rivolgono alla Mano Nera, un’organizzazione terroristica che ha come simbolo la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate, un pugnale, una bomba e il veleno. Il suo obiettivo è estendere il potere della Serbia e creare uno Stato degli slavi del sud, che sono in gran parte sudditi dell’impero asburgico. Uno dei suoi fondatori è il capo dei servizi segreti serbi, un energumeno che si fa chiamare Apis, come il dio egizio raffigurato come un toro. Undici anni prima, Apis aveva ucciso e fatto a pezzi il re Alessandro e la regina Draga, in un colpo di stato che aveva messo sul trono l’attuale re di Serbia, Pietro.
La Mano Nera fornisce a Gavrilo e a due suoi complici quattro pistole e sei bombe a mano. Oltre al cianuro per uccidersi dopo aver compiuto l’attentato.
Il 23 giugno, l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sophie lasciano la tenuta in Boemia per dirigersi verso Sarajevo. Però la loro automobile ha un guasto, e l’arciduca ha brutti presentimenti.
Se qui ci si brucia la macchina – commenta Francesco Ferdinando – là ci tireranno le bombe.
Prendono così il treno fino a Vienna e poi per Trieste: le luci si guastano, devono accendere le candele, e nel vagone l’atmosfera è quella di una camera ardente. In Bosnia, dove arrivano dopo aver percorso la costa adriatica sulla corazzata Viribus unitis, l’arciduca ispeziona le truppe e assiste a manovre militari; ma con la moglie fa anche un giro tra le pittoresche viuzze e le botteghe di Sarajevo, in mezzo alla folla. La sera di sabato 27, la contessa Sophie incontra un medico, deputato al parlamento bosniaco, che temeva attentati e aveva fatto di tutto per sconsigliare all’arciduca la visita.
Caro dottore, – dice la moglie dell’arciduca – lei si sbagliava. Ovunque siamo andati, ci hanno accolto con cordialità e con calore, anche i serbi. Siamo contentissimi!
Altezza, – risponde il medico e parlamentare – prego che domani sera lei possa ripetermi le stesse parole, se avrò l’onore di incontrarla di nuovo. Mi toglierebbe un gran peso dal cuore!
Per l’arciduca e la contessa, domenica 28 giugno è il quattordicesimo anniversario di matrimonio.
La macchina scoperta su cui Francesco Ferdinando e Sophie attraversano Sarajevo in un piccolo corteo di auto passa tra due ali di folla, dove si nascondono ben sette attentatori. Il primo, paralizzato dal terrore, non riesce a lanciare la sua bomba a mano. Il secondo invece ce la fa: la bomba colpisce il tetto ripiegato dell’auto dell’arciduca (o forse è lo stesso Francesco Ferdinando a deviarla con un braccio), rotola a terra ed esplode sotto la macchina che segue, ferendo alcuni ufficiali del seguito e anche uno spettatore. L’arciduca controlla le condizioni dei feriti e poi (incredibilmente, se pensiamo alle nostre normali misure di sicurezza, ma anche a quelle di allora) decide di continuare la visita, secondo il programma iniziale. Lungo la strada, quattro terroristi, per una ragione o per l’altra, non riescono a intervenire. Quando il corteo raggiunge il municipio, l’imbarazzatissimo sindaco di Sarajevo, confuso e sudato, pronuncia le parole che aveva preparato in anticipo, come se niente fosse.
Come, – esplode Francesco Ferdinando, furibondo – io arrivo qui come ospite e voi mi tirate le bombe!
Poi, calmato dalla moglie, prende in mano i fogli del suo discorso, e si accorge che sono macchiati del sangue di un attendente.
Fuori dal municipio, il programma della visita viene cambiato, ma solo perché l’arciduca e la moglie vogliono andare all’ospedale a visitare i feriti. Però gli autisti del corteo, non avvisati, seguono il percorso originario. Il capo della sicurezza, in macchina con l’arciduca, se ne accorge e ordina di tornare indietro. La macchina rallenta, accosta al bordo della strada, e proprio lì c’è Gavrilo Princip.
Secondo le testimonianze dei protagonisti e degli spettatori, il tempo sembra improvvisamente procedere al rallentatore. Gavrilo fa un passo avanti, capisce che non ha tempo per lanciare la bomba, esita quando si vede davanti la contessa Sophie ma estrae la sua pistola e spara due colpi. Un ufficiale austriaco che si era messo sul predellino della macchina, ma sul lato opposto, non può intervenire. Il capo della sicurezza sente i colpi, ma gli sembrano lontani, ovattati. Francesco Ferdinando e Sophie restano immobili, sembra che non siano stati nemmeno colpiti, ma poi la contessa scivola sulle ginocchia del marito (il proiettile ha attraversato la portiera, l’ha colpita all’addome e le ha reciso un’arteria).
Sophie, Sophie, – dice l’arciduca – non morire! Vivi per i nostri bambini!
L’elmo con le piume gli cade dalla testa, gli esce sangue dalla bocca, a chi gli chiede se ha dolore risponde: “Non è niente”, poi perde conoscenza. Il proiettile gli ha attraversato il collo.
Intanto, nei pochissimi secondi in cui è avvenuto tutto questo, Gavrilo si è puntato la pistola alla tempia per uccidersi, ma gli uomini che lo circondano gliela strappano via; cerca di inghiottire il cianuro che ha con sé ma glielo impediscono. (Anche il primo attentatore, quello della bomba, aveva cercato di uccidersi inghiottendo il cianuro e buttandosi nel fiume, ma il veleno era di qualità scadente e nel fiume c’erano solo dieci centimetri d’acqua, quindi era stato catturato vivo e portato via.) La folla comincia a colpire Gavrilo con calci e bastoni, finché la polizia non lo sottrae al linciaggio.
L’arciduca Francesco Ferdinando e la contessa Sophie vengono trasportati nel palazzo del governatore. Lei ci arriva morta, lui spira subito dopo.
Il 28 giugno 1914 – ricorda lo scrittore austriaco Stefan Zweig – ero a Baden, una cittadina termale vicino a Vienna. La folla si riversava nel parco, il clima era mite, il cielo limpido sopra le chiome dei castagni: la giornata ideale per essere felici. Stavo leggendo un libro, e all’improvviso mi accorsi che l’orchestrina aveva smesso di suonare a metà di una battuta. Anche la folla parve trasformarsi, interrompendo il suo andirivieni. Doveva essere accaduto qualcosa. Si erano formati capannelli agitati davanti al palco dell’orchestra, per leggere una comunicazione evidentemente affissa da poco. Era il dispaccio che comunicava che Sua Altezza Reale l’erede al trono Francesco Ferdinando e la sua consorte erano rimasti vittime di un assassinio politico in Bosnia.
Per amore di verità, devo dire che sui volti non si notava né commozione né sgomento, poiché l’erede al trono non era affatto amato. Nessuno l’aveva mai visto sorridere, nessuna fotografia lo aveva mai ritratto in una posa rilassata. Era noto che il vecchio imperatore lo odiava dal profondo del cuore, perché Francesco Ferdinando non sapeva nascondere la sua impazienza di salire al trono. Il presentimento che da quell’uomo dalla testa di bulldog sarebbe prima o poi venuta qualche disgrazia non era solo mio personale ma diffuso in tutta la nazione. Così, due ore più tardi non si osservava alcun segno visibile di cordoglio. La gente chiacchierava e rideva e a tarda sera in molti caffè tornò a suonare la musica.
La morte di un arciduca in un attentato è un evento molto grave. Ma basta per scatenare una guerra mondiale? Tra l’altro, come racconta Stefan Zweig, molti austriaci sono ben contenti che il nuovo erede al trono sia il giovane arciduca Carlo, infinitamente più amato. In pochi giorni, però, l’atmosfera in Austria cambia.
Dopo circa una settimana – continuano i ricordi di Zweig – sui giornali cominciarono le polemiche e le insinuazioni, in un crescendo che non poteva essere casuale. La Serbia fu accusata di essere in qualche modo complice degli attentatori e si lasciava intendere a mezze parole che l’Austria non avrebbe dovuto lasciare impunito l’assassinio del suo – così tanto amato! – successore al trono. Tutto suggeriva che, con il contributo della stampa, si stesse preparando una qualche azione, ma nessuno ancora pensava alla guerra. Né le banche, né le aziende, né i privati modificarono i loro programmi. A chi in fondo importavano quelle continue scaramucce con la Serbia che alla fin fine, come tutti sapevamo, erano sorte soltanto per alcuni contratti commerciali per l’esportazione di maiali? Avevo già preparato i bagagli ed ero pronto a partire per le vacanze in Belgio, dove avrei rivisto i miei amici; il mio lavoro procedeva a ritmo sostenuto: che cosa aveva a che fare con la mia vita la morte dell’arciduca? Mai si era vista un’estate più bella; noi tutti guardavamo il mondo senza la minima preoccupazione. Ricordo che l’ultimo giorno del mio soggiorno a Baden, mentre in compagnia di un amico passeggiavo per le vigne che circondavano la cittadina, un vecchio viticoltore ci disse: “Un’estate così era da un pezzo che non la si vedeva. Se reggerà, avremo un vino eccezionale. La gente non dimenticherà molto presto questa estate!”.
Quel vecchio con la sua tenuta azzurra da vignaiolo non poteva sapere fino a che punto quelle sue parole fossero tragicamente vere!
Vorrete sapere qualcosa di più su alcuni dei personaggi citati.
Gavrilo Princip (1894-1918) non viene condannato a morte dal tribunale austriaco che lo giudica colpevole dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie: è ancora minorenne (la maggiore età scattava a ventuno) e dunque la pena è a vent’anni di carcere. Non li sconta tutti: muore di tubercolosi nella fortezza di Theresienstadt (Terezín, in Boemia) il 28 aprile 1918.
Stefan Zweig (1881-1942) è, negli anni Venti e Trenta del Novecento, uno degli scrittori più famosi del mondo. Ebreo austriaco, si trasferisce in Inghilterra e diventa cittadino britannico nel 1938, quando l’Austria viene annessa dalla Germania di Hitler. Raggiunge New York nel 1940 e, disperato davanti a quello che gli appare il crollo della civiltà europea travolta dal nazismo, si suicida nel 1942 in Brasile insieme alla seconda moglie.
Questi testi provengono dal mio libro L’Italia in guerra. 1915-1918: niente sarà come prima, illustrazioni e copertina di Matteo Berton, Feltrinelli Kids 2015.