La lettura a scuola
Leggere e parlare di libri in classe fa bene sia ai libri sia alla scuola. Qualche riflessione sugli “incontri con l’autore” (e sugli errori da evitare) in un articolo per www.illibraio.it.
In Italia, lo sappiamo, si legge pochissimo: secondo l’ultimo rilevamento dell’Istat (gennaio 2016) solo 42 italiani su 100 dai 6 anni in su hanno letto in un anno almeno un libro (non scolastico e non professionale). In altre parole: 58 italiani su 100 non hanno preso in mano nemmeno un libro in un anno. Siamo fra gli ultimi in Europa, e questo è un grosso problema.
Come si fa a promuovere la lettura? Se ne discute da decenni e non esistono ricette universali, ma su un punto sono tutti d’accordo: uno dei canali deve essere la scuola (anche se va ricordato che l’unica fascia di età in cui i lettori sono più dei non lettori è proprio quella dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni, che dunque leggono molto di più dei loro genitori).
Portare i libri a scuola fa bene sia ai libri sia alla scuola, e io, che non ho mai insegnato, di fatto sono coinvolto, come molti autori, in un’attività di promozione della lettura scolastica. Negli ultimi cinque anni ho parlato a circa 16.000 ragazzi in oltre 200 incontri in tutt’Italia: nelle aule magne, nelle classi, in auditorium, biblioteche, librerie. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di esperienze positive, vitali, fertili, spesso entusiasmanti. Una delle ragioni principali della soddisfazione generale è che, di solito, io arrivo a scuola quando ragazzi e insegnanti hanno già letto il mio libro, spesso trasformandolo in qualcosa di vivo, in uno stimolo per fare cose: così non solo parlo alle classi ma ascolto riscritture di alcune scene con l’invenzione di nuovi personaggi, vedo cartelloni o copertine ridisegnate, rispondo a domande per un’intervista sul giornale o per il telegiornale della scuola, assisto a quiz sui miei libri (a cui io non saprei rispondere) e a messe in scena teatrali. Insomma, l’incontro con l’autore è solo una delle tante tappe di un percorso scolastico di cui la lettura fa già parte (è un’attività ordinaria che diventa “creativa” proprio grazie allo stimolo dell’incontro; e questo vale non solo per le elementari e le medie ma, in forme diverse, anche per le superiori). È un’esperienza splendida, una delle cose migliori che possano capitare a chi scrive libri.
Qualche volta, invece, le cose non vanno altrettanto bene. Non molto tempo fa sono stato invitato a promuovere la lettura in una scuola media, e avrei dovuto insospettirmi: mi hanno informato che avrei potuto parlare alle prime classi riunite “anche per tutta la mattina, sei ore!”. In un sussulto di buonsenso ho subito controproposto due ore con l’intervallo in mezzo, ma una volta lì mi sono accorto che sarebbe stata una mattinata difficile. I ragazzi, un centinaio, erano stati radunati in una specie di corridoio in cui col microfono la mia voce rimbombava e senza microfono non si sentiva. Avrei dovuto leggere brani di autori secondo me appassionanti, ma dopo un quarto d’ora ho cominciato a perdere il mio pubblico. Forse ho sbagliato le mie scelte (ma c’erano autori come Roald Dahl e Stephen King). Forse era semplicemente una congiunzione astrale sfavorevole. Forse però era il presupposto di partenza a essere sbagliato: che cioè l’arrivo di qualcuno da fuori basti a propagare il virus della lettura. Mi è venuto in mente, mentre tentavo disperatamente di ottenere per più di cinque minuti l’interesse dei ragazzi, che l’“esperto esterno”, l’autore, il personaggio più o meno noto risponde alle esigenze di due categorie contrapposte di insegnanti: quelli, ammirevoli, che si impegnano allo spasimo per arricchire l’esperienza scolastica dei loro alunni cercando di offrire ciò che la scuola da sola non può dare, e quelli che invece vogliono fare il meno possibile, e sono felicissimi di liberarsi per un paio d’ore dell’incombenza di occuparsi dei ragazzi (e infatti alcuni insegnanti manifestavano un sovrano distacco mentre i loro pargoli facevano il diavolo a quattro; altri minacciavano sanguinose ritorsioni una volta tornati in classe).
Durante l’anno scolastico ci sono svariate meritorie manifestazioni, nazionali o locali, per promuovere la lettura a scuola. La prossima, nell’ultima settimana di ottobre, è Libriamoci (le scuole devono iscriversi entro il 14 ottobre). Il consiglio che rivolgerei a dirigenti e insegnanti è: cercate di fare in modo che queste manifestazioni siano inserite in un’attività costante, in un lavoro sulla lettura che duri nel tempo. Così l’incontro con personaggi del mondo dei libri sarà fruttuoso e stimolante, e i ragazzi non ricaveranno l’impressione che di libri si debba parlare solo una volta l’anno. Se, per qualche ragione, l’attività costante non è possibile, ma intendete lo stesso sfruttare l’occasione di promuovere la lettura, forse la soluzione migliore non è radunare tutti gli alunni e sperare che l’ospite riesca a intrattenerli per due ore, ma far girare l’“esperto esterno” classe per classe, per un quarto d’ora o venti minuti: se i ragazzi si annoiano (difficile, però), la sofferenza sarà breve; se invece si appassionano, ci sarà modo di ripetere l’esperienza, per la soddisfazione di tutti.
La pagina di un libro pop-up ispirato a Leggere è un’avventura
e realizzato dai ragazzi delle I E di una scuola media di Adelfia.
Questo articolo è stato pubblicato su IL LIBRAIO lunedì 3 ottobre 2016. Se n’è parlato anche su Radio3, nella puntata di Fahrenheit del 24 ottobre 2016: trovate il podcast qui.