La scuola, i ragazzi e la padronanza dell’italiano
Ai primi di febbraio 2017, una lettera aperta di oltre 600 docenti “contro il declino dell’italiano a scuola” ha scatenato infinite discussioni e polemiche. Queste sono le mie considerazioni, pubblicate in una versione leggermente ridotta l’11 febbraio su “Il Cittadino di Monza e Brianza”.
La tempesta sul semianalfabetismo degli studenti italiani è scoppiata mentre giravo per alcune scuole della provincia di Taranto, a parlare dei miei libri sull’italiano (Benvenuti a Grammaland, Leggere è un’avventura) con ragazzi dalla terza elementare alla terza media Tutti gli insegnanti che ho incontrato hanno accennato alla lettera dei 600 docenti, e alcuni ne avevano già discusso in classe con gli alunni; al momento delle domande, c’era sempre un ragazzo o una ragazza che mi chiedeva se secondo me i cellulari e i social network sono la causa del degrado dell’italiano.
So benissimo di essere fortunato: se vado in una scuola è perché lì ci sono insegnanti entusiasti che fanno ben più di quello che sarebbero obbligati a fare per stimolare gli alunni e convincerli a leggere, a imparare e a far fruttare ciò che imparano. So anche però che, al di là delle analisi e delle soluzioni proposte dai 600 docenti (di cui si può discutere e si è discusso tantissimo in questi giorni), il problema che la lettera ha messo al centro dell’attenzione è vero e serio: troppi ragazzi escono dalle scuole superiori e arrivano all’università con una competenza linguistica insufficiente.
È un problema che non ha soluzioni semplici. Per affrontarlo, al di là della banale ma necessaria esortazione, rivolta a tutti, a rimboccarsi le maniche senza perder troppo tempo nella ricerca dei colpevoli, forse conviene porsi qualche domanda.
– Siamo sicuri che le carenze grammaticali derivino dagli anni delle elementari e delle medie? Non potrebbe scattare un precoce analfabetismo di ritorno, legato magari al fatto che è verso la metà delle medie che i ragazzi smettono di leggere?
– Per stabilire con certezza, al di là delle impressioni, quali sono i punti critici, non sarebbe il caso di prendere sul serio le prove Invalsi? Magari sono fatte male, magari non tengono conto dei programmi, ma l’unico modo per avere dati certi sulle lacune e sui metodi per colmarle è far funzionare un sistema in grado di valutare lo stato dell’insegnamento nei vari ordini di scuole in tutta Italia. E dopo averle fatte, le prove Invalsi devono essere corrette, e i loro risultati fatti circolare. Non ho mai capito il senso dei boicottaggi dei test Invalsi da parte di insegnanti, studenti, genitori (cioè l’ho capito, e quel senso non mi piace).
– Siamo convinti che sia davvero utile accumulare sintesi e mappe concettuali nei libri di test, o moltiplicare le prove scritte basate sulle crocette? Non è meglio, dalle elementari all’università, allenare i ragazzi a parlare e a scrivere, curando il lessico, l’uso dei connettivi, i registri?
– I ragazzi sanno benissimo che nelle chat o su Facebook fanno un sacco di errori; il problema è che siccome passano la maggior parte del tempo su chat e Facebook, si dimenticano di cambiare modalità nello scritto formale. Non converrebbe passare del tempo, a scuola, a parlare proprio delle differenze tra il “parlato per iscritto” e lo scritto vero, magari usando gli strumenti di controllo ortografico che offrono cellulari e computer?
– In tutto questo, il tema della lettura è centrale. Qui il problema principale è che gli adulti leggono molto meno dei ragazzi.
Ercole Giammarco
Ben detto (…ben scritto)!
Gianna Miceli
Sono d’accordo.