Le vene *dei polsi, le vene *ai polsi
Voi che conoscete a memoria il primo canto dell’Inferno non sbaglierete di sicuro. Molti giornalisti, invece, sì.
Nel primo canto della Commedia, Dante si rivolge così a Virgilio:
“Vedi la bestia per cu’ io mi volsi:
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.”
(Inf., I, 88-90)
La bestia è la lupa, che spaventa Dante e gli fa “tremar le vene e i polsi”: cioè le vene e le arterie (“i sistemi venoso e arterioso”, come dice Vittorio Sermonti nel suo magnifico racconto-commento della Commedia). Infatti il significato antico di polsi è proprio “arterie”, e per estensione, dice lo Zingarelli, “l’intima fibra del corpo umano”. Come spiega Boccaccio, “triemano le vene e ’ polsi quando dal sangue abbandonate sono; il che avviene quando il cuore ha paura”.
L’espressione di Dante è diventata proverbiale, e di solito viene impiegata oggi non per indicare una generica paura, ma il timore legato a un incarico particolarmente impegnativo, per esempio in una frase come questa:
La riforma della scuola è un compito che farebbe tremare le vene e i polsi a qualunque ministro.
Cosa succede, però? Che siccome polso, nell’italiano corrente, indica la zona dell’avambraccio appena sopra la mano, moltissimi giornalisti cambiano (storpiano) la frase di Dante, “correggendola” per arrivare a un senso più vicino alla lingua di oggi. Dato che nei polsi si vedono le vene, pensano si debba dire “fa tremar le vene *ai polsi” o, stravolgendo anche la metrica, “le vene *dei polsi”, “le vene *nei polsi”. È uno strafalcione e una goffaggine: non è obbligatorio citare Dante, ma se lo si fa conviene farlo bene.
Detto questo, bisogna aggiungere che la storpiatura è un segno della popolarità e della vitalità linguistica di Dante anche al di là della lettera e della letteratura. I versi di Dante sono diventati frasi fatte, e si sono modificati passando di bocca in bocca. Ecco un’altra celeberrima frase pseudodantesca:
Non ti curar di lor, ma guarda e passa.
In realtà, davanti agli ignavi nell’antinferno, Virgilio dice:
“Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.”
(Inf., III, 49-51)
Il racconto-commento di Vittorio Sermonti è per me il miglior modo non scolastico di leggere oggi la Commedia (e fa miracoli anche a scuola). Trovate i tre volumi (L’Inferno di Dante, Il Purgatorio di Dante, Il Paradiso di Dante) nella BUR Rizzoli.
Paola Boetti
Buongiorno, per evitare “strafalcioni” quale è la regola per scrivere correttamente “tecnico/a” quando si parla di redditività tecnico operativa. La ringrazio in anticipo per le sue spiegazioni chiare precise e anche divertenti.
Massimo Birattari
Con questi aggettivi “doppi”, di solito la forma corretta è quella al maschile, seguita dal trattino (cioè si mette al femminile o al plurale solo il secondo aggettivo). In questo caso, dunque: “redditività tecnico-operativa”. (Naturalmente scrivo ciò senza avere la minima idea di cosa sia la redditività tecnico-operativa; ma sono abbastanza sicuro che la forma giusta sia questa, a contenuto e significato deve pensare lei…)
Paola Boetti
La ringrazio molto. Sempre super !!!
Ho iniziato di recente il suo ultimo libro “Come fare un tema” , anche se ormai non frequento più le scuole superiori o l’università, il suo libro è veramente interessante, mai noioso, ricco di spunti utili anche nel mondo lavorativo. Che dire….grazie e continui a scrivere così.
Massimo Birattari
Sono io che la ringrazio!
Anna Maria Spallino
I miei ricordi liceali erano dunque esatti. Tuttavia un dubbio l’ho avuto dati “i pulpiti”.
Padre Dante merita una più attenta lettura