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Tra un *qual’è con l’apostrofo e un *collocquio col cq

D’accordo, un errore di ortografia non ha mai ammazzato nessuno, però… Qualche riflessione sul senso delle regole della grammatica in un articolo per www.illibraio.it.

 

 

Qualche mese fa, i conduttori di un programma radiofonico del pomeriggio mi hanno proposto di stendere una classifica degli errori di grammatica più molesti. Sul gradino più basso della mia Top 5 (la trovate qui) ho messo qual’è scritto con l’apostrofo. “Ma davvero è così madornale mettere un apostrofo in qual’è,” mi ha poi chiesto un lettore in un commento, “dal momento che sia letto che scritto non mostra nessuna differenza con qual è? Non riesco a capire perché una distrazione del genere provochi così tanto orrore e indignazione! E lo stesso vale per un’altro al posto di un altro.”

Ora, queste classifiche sono sempre arbitrarie (anzi, sono un gioco, un passatempo). Ma veniamo all’obiezione del lettore, che varrebbe per moltissimi errori di ortografia: cosa c’è di tanto grave, se forme sbagliate come qual’è o un’altro non tolgono nulla alla comprensibilità di un testo?

D’accordo, per un apostrofo o una doppia o una i di troppo non è mai morto nessuno. Ma considerate questo episodio (vero e autobiografico). Qualche anno fa dovevo fare un bonifico, e al momento di indicare la “causale” avevo spiegato all’impiegato della banca che il versamento era per un colloquio di selezione di mia figlia. L’impiegato procede con l’operazione, scrive al computer, stampa la ricevuta e me la fa firmare. A casa mi cade l’occhio sul foglio.

 

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Nel campo della causale del bonifico c’è scritto collocquio. Col cq.

È grave, un errore del genere? In fondo, le cose essenziali (la cifra, il conto corrente del destinatario) erano giuste. Però…

Però mi è tornato in mente che qualche mese prima dovevo pagare le spese condominiali, e lo stesso impiegato aveva preso i soldi dal mio conto corrente per versarli, invece che su quello del condominio, di nuovo sul mio conto (e me ne sono accorto il mese dopo; certo, se li avesse girati su un conto nigeriano sarebbe stato peggio). Non ho potuto fare a meno di pensare che l’errore di ortografia fosse il sintomo di una più generale incompetenza (o di una distrazione patologica, chissà).

Potremmo dire allora che gli errori di ortografia sono gravi perché mettono in mostra le nostre debolezze, non solo grammaticali. Quindi imparate l’ortografia, se non volete attirare l’attenzione del mondo sui vostri punti deboli. Più seriamente: padroneggiare la grammatica serve a evitare che chi ci legge e ascolta badi ai nostri errori invece che a quello che abbiamo da dire. La cura formale contribuisce all’efficacia della comunicazione perché elimina il “disturbo” degli errori.

 

E qui torniamo al qual’è con l’apostrofo. L’ho inserito nella mia opinabilissima Top 5 degli orrori anche perché è un errore molto diffuso (mentre per infilare un cq in colloquio ci vuole un impegno non comune). E soprattutto perché è un ottimo esempio di quelle regole della grammatica senza margini di dubbio, semplici, senza eccezioni, che vanno solo imparate una volta per tutte.

Intendiamoci: si potrebbe discutere all’infinito su qual, cioè sul troncamento e l’elisione. (Piccolo ripasso, per chi fosse interessato: l’elisione è la caduta della vocale finale, segnalata dall’apostrofo, prima di una parola che comincia per vocale: un’amica; il troncamento è la caduta di una vocale o di una sillaba, alla fine di una parola, che avviene indipendentemente dal fatto che la parola seguente cominci per vocale o per consonante, e che di solito – di solito – non vuole l’apostrofo: buon uomo, buon cane.) Qual è è troncamento o elisione? La risposta breve è: troncamento; ma troverete qual’è con l’apostrofo in infiniti esempi di autori e libri dell’Ottocento e anche di buona parte del Novecento. Ancora nel 1987, come ricordava Luciano Satta, una nota giustificava l’uso di qual’è in un racconto di Franco Lucentini (uscito per la prima volta nel 1964) con la considerazione che qual, come forma tronca prima di una consonante, non si userebbe praticamente più nell’italiano contemporaneo (non diremmo qual genio o qual femmina ma quale genio, quale femmina), e dunque ormai la caduta della e andrebbe considerata elisione. In questo ambito non mancano le questioni spinose. Perché il caso di pover’uomo è diverso da quello di buon uomo o nessun altro o signor presidente? E quando il troncamento riguarda un’intera sillaba, perché in alcuni casi c’è l’apostrofo (po’ per poco), in altri l’accento (piè per piede) e in altri ancora niente (fra per frate)?

 

Ripeto: si potrebbe discutere all’infinito (e alla fine avremmo tutti le idee più confuse). Ma vediamo le cose dal mio punto di vista. Io sono un “grammatico pratico”. Il mio compito è fornire risposte a problemi molto concreti. Quando scrivo libri di grammatica per bambini devo stabilire dei punti fermi (aiutare a imprimere nelle loro teste alcune nozioni elementari). Da redattore, da editor o da “esperto” devo aiutare chi scrive a esprimere nel modo migliore ciò che ha da dire. Alcuni problemi linguistici o grammaticali non hanno una sola soluzione. In altri casi, abbiamo di fronte un modo giusto e un modo sbagliato di scrivere una parola o una frase.

Ecco, oggi (non nel 1920, non nel 1960) c’è un solo modo giusto di scrivere qual è. Tutti i vocabolari, tutte le grammatiche, tutti i prontuari redazionali di giornali e case editrici oggi considerano corretta solo la forma senza apostrofo. È stato messo un punto fermo: è inutile ricominciare a discutere, è dannoso rimettersi ogni volta a inventare la ruota. Non c’è da fare nessuna riflessione (che invece occorre per distinguere qualcun altro, maschile, che non vuole l’apostrofo perché è un troncamento, da qualcun’altra, femminile, che è un’elisione e lo vuole). Le sottigliezze del pensiero grammaticale riserviamole ad argomenti ben più complessi. Qui basta ricordare una semplice regola: qual è si scrive sempre così, senza apostrofo.

Mai. Con. L’apostrofo.

È un raro caso di regola semplice, che non richiede interpretazioni. Non è neanche una regola: basta fare lo sforzo di ricordare una forma. Per questo mi arrabbio se qualcuno scrive qual’è (e metto lo strafalcione nella Top 5 degli orrori).

 


 

Questo articolo è stato pubblicato su IL LIBRAIO venerdì 17 giugno 2016.

 

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