soldati uniformi "prima guerra mondiale" "Matteo Berton"

La strana guerra del soldato Marchio

Per il centenario della fine (in Italia) della Prima guerra mondiale pubblico qui una parte dell’ultimo capitolo del mio libro L’Italia in guerra. 1915-1918: niente sarà come prima (Feltrinelli Kids 2015). Le illustrazioni sono di Matteo Berton.

 

La guerra dunque lascia morti e distruzioni dietro di sé. Lascia anche un mondo profondamente cambiato, quasi irriconoscibile. Se, nel 1914, una persona avesse avuto la possibilità di salire su una macchina del tempo e avesse viaggiato nel futuro per cinque o sei anni, quali cambiamenti avrebbe notato?

In realtà, anche senza macchina del tempo alcune persone hanno fatto un’esperienza simile. Il loro viaggio straordinario, più che nel tempo, è stato nello spazio: si sono trovati a vivere gli ultimi anni di guerra in luoghi sperduti come la Siberia e la Cina, e quando sono tornati non hanno più ritrovato il mondo che avevano lasciato. Uno di loro è Francesco Marchio, falegname, nato nel 1887 a Fiume e residente a Trieste. Quindi un italiano suddito dell’impero austroungarico, che allo scoppio della guerra viene arruolato nel reggimento 97 della fanteria austriaca e il 24 agosto 1914 parte per la Galizia, a combattere contro i russi. Il reggimento rischia di essere spazzato via quasi appena sceso dal treno. Dopo qualche attacco, si ritira verso i Carpazi.

 

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«Intanto, comincia a serpeggiare un’accusa verso il nostro reggimento; che siamo scapati – Francesco Marchio, abituato al suo dialetto veneto, quando scrive ha qualche problema con le doppie (spesso mancano, talvolta ce n’è di troppe) – che non volevimo combattere, traditori salta confini, diserta bandiere, e che veremo decimati… Siamo stati protocolati seicento soldati, disarmati e disonorati indegni dell’“onore del campo” questo era la nostra infamia, e con una scorta di gendarmi condoti all’interno, cioè a Crems [Krems] nell’Austria inferiore, portando con noi colera, tifo, disenteria, esaurimento, sporcizia, pidocchi, e altre porcherie, tutto regali di guerra.»

Dopo Krems, Francesco e i suoi compagni sono spediti in Serbia, poi tornano in Galizia e, alla prima occasione utile, il 10 giugno 1916, disertano e si consegnano prigionieri ai russi (rischiando però di essere passati per le armi dai cosacchi). Ed è qui che comincia il viaggio straordinario di Francesco. Dapprima nei campi di prigionia in Russia, dove lavora come falegname e costruttore di strumenti musicali. Poi, allo scoppio della Rivoluzione, verso il porto sul Mar Bianco, Arcangelo, dove potrebbe essere imbarcato verso l’Italia (la Russia è alleata dell’Italia, e Francesco è un italiano irredento). Ma sulle navi non c’è mai posto, e con l’arrivo dell’inverno il mare si ghiaccia.

«L’inverno – scrive Francesco Marchio nel suo memoriale, e sotto l’ironia si nasconde una vera disperazione – riscaldava la terra coi cocenti raggi della neve, deliziandoci con una media di 30 soto lo zero e con una massima di 40 soto lo zero, vestiti d’estate con il massimo della denutrizione. Molti si sonno dedicati alla cacia di colombi, di gatti, di corvi e di cani senza contare i furti che venivano perpetrati a danno dei magazini della stazione, per terminare in imprese più ardue, borsegi.» Cioè borseggi: furti con destrezza per rubare soldi o oggetti di valore dalle borse e dalle tasche della gente. Perché per Francesco Marchio la guerra e la prigionia tirano fuori il peggio degli uomini.
«La guerra non è fonte di cultura, di saggezza, al contrario la guerra incoraggia il senso del male, la guerra mette l’uomo nel dilema, o rubare, o morire di fame.»

 

soldati uniformi "prima guerra mondiale" "Grande guerra" "Matteo Berton"

 

Ormai, lui e i suoi compagni sono «un grupo di uomini giovani, e forti diventati un monumento di miseria, un covo di belve affamate, di ladri, di suonatori ambulanti, di pidocchiosi, e infine di schelletri». Per riuscire a tornare a casa, Francesco è costretto ad andare nella direzione opposta: verso Vladivostok, sulla ferrovia transiberiana, con tappe in Manciuria e in Cina. Dovrà arruolarsi nella Legione redenta di Siberia, che fa parte del Corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente e raccoglie ex soldati italiani dell’esercito asburgico, per combattere insieme a forze alleate i rivoluzionari bolscevichi.

«In mezzo a tanta sventura, ebbi anche dei vantaggi – scrive Francesco Marchio nelle ultime righe del suo memoriale – e precisamente quelli di aver viagiato per mare e per terra e cioè: Austria, Stiria, Carpati, Ungheria, Transilvania, Croazia, Slavonia, Bosnia, Serbia, Ucraina, Russia, Siberia, Manciuria, Corea, Cina, India, Africa, e finalmente Italia. E quello di avere conosciuto tante rasse [cioè razze]: Tedeschi, Ungheresi, Crovati, Slovachi, Cecoslovachi, Bosniaci, Serbi, Galiziani, Polachi, Rumeni, Dalmati, Bulgari, Ucraini, Russi, Giaponesi, Siberiani, Manciuriani, Coreani, Cinesi, Francesi, Americani, Inglesi, Olandesi, Finlandesi, Indiani, Arabi.»

 

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Alla fine, su un piroscafo giapponese, dopo aver toccato Singapore, circumnavigato l’India, attraversato il canale di Suez, Francesco arriva a Trieste il 2 febbraio 1920. […]

«Arrivo a Trieste. Una giornata meravigliosa il 2 Febbraio 1920 doveva chiudere quella vita raminga, piena di pericoli, quella vita di lesa umanità.»

Però una guerra «che costò al mondo miglioni e miglioni di vitime» conduce «a una sconclusione politico-internazionale molto più pericolosa dell’ante guerra». La felicità non durerà a lungo.

«Ho voluto credere – scrive Francesco Marchio nel suo memoriale – che la guerra cancellerà certi antagonismi nazionali nei vari paesi. Disilusione.»

 

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Il memoriale di Francesco Marchio, consegnato all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, ha vinto il Premio Pieve 1994 ed è stato pubblicato da Giunti nel 1995 con il titolo Disertore a Vladivostok.

 

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